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Un apprendista elettronico nella Torino degli anni Sessanta Autore: Tito Gaudio
Lunedì 13 settembre 1965. Lui che arriva dalla Calabria con il Treno del Sole, una valigia di cartone e poche lire in tasca. Lei, l’azienda, che lo accoglie tra le braccia mentre sta per partorire il primo robot di misura al mondo. Sullo sfondo la Torino magica e matrigna degli anni Sessanta. Il libro racconta la prima giornata di lavoro di un adolescente del Sud in una fabbrica del Nord. Un modo per ricordare, mezzo secolo dopo, l’azienda che più di tutte ha segnato la nascita della meccatronica in Italia, la Dea (Digital Electronic Automation). Una cronaca minuziosa e appassionata in cui luoghi, fatti e protagonisti sono del tutto reali, visti attraverso l’occhio analitico dell’autore.
Ammoniva il filosofo americano Ralph W. Emerson: “Senza entusiasmo non si è mai compiuto nulla di grande”.
La giusta dose, però, senza eccedere, senza sconfinare nel fanatismo. Nella prima Dea, l’entusiasmo, quello genuino, di certo non mancava.
Se è vero che, come dice la parola stessa, entusiasmo significa “il divino dentro di sé” (dal greco en e theos), quasi tutte le persone che Tito aveva avuto modo di conoscere durante quella giornata “stavano da Dio”.
Passione ed entusiasmo sono piante che nascono e crescono solo se il terreno è fertile, coltivato, innaffiato.
Anche in questo la Dea era un passo avanti.
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Tito Gaudio, nato in Calabria nel 1948, vive e lavora a Torino. Dopo il diploma in elettronica viene assunto come apprendista dalla Dea (Digital Electronic Automation) di Torino. Lasciata l’azienda nel 1972 per mettersi in proprio insieme ad altri soci, si dedica per quindici anni alla progettazione e allo sviluppo di sistemi di automazione per conto terzi (Olivetti, Italtel, Ferrero, CERN…). Nel 1988 fonda la Elex s.r.l., specializzata nel controllo elettronico degli accessi, di cui è tutt’ora amministratore. Come giornalista ha collaborato, tra gli altri, con La Stampa e il Corriere della Sera. È autore di Il badge magnetico (Franco Angeli, 2002), Entro anch’io? No, tu no! (Edis, 2007) e del racconto Lo chiamerò Nicola (primo premio nella Sezione Narrativa del concorso letterario “Nicola tra storia e leggenda, un Beato che per noi è già Santo”, Comune di Longobardi, Cosenza 2009). Ha coniato il neologismo agronica (elettronica applicata all’agricoltura), oggi inserito nei vocabolari della lingua italiana.
carron luisa –
Ho avuto la fortuna di essere una delle prime lettrici del libro. Sicuramente un libro avvincente, ricco di umanità che ti cattura e ti porta a vivere indirettamente le scelte dell’ autore. Dietro a ogni parola si percepisce, anche se poco nominata, la costante presenza di una grande mamma.
Ne consiglio la lettura a tutti coloro che amano arricchirsi con le esperienze di chi ha avuto il coraggio di mettersi in discussione.
Francesco Mottese –
Un racconto avvincente che ti trascina fino all’ultima pagina. Interessante e originale la struttura narrativa: i capitoli pari raccontano i fatti al futuro, quelli dispari al passato. Il tutto con un linguaggio semplice e chiaro, lievemente ironico.
Franco Pagliano –
Con sottile ironia ed uno stile sapido, l’autore ci porta indietro in un mondo perduto e ce lo fà rivivere con dovizia di particolari. Visioni della Torino ancora industriale si alternano a squarci luminosi di un meridione quasi incorrotto; dovunque spira un alito di entusiasmo e fiducia nel futuro che oggi difficilmente percepiamo. Il libro è un documento importante non solo per lo sguardo sulla vita e la società italiana ma anche per chi si interessi del glorioso passato della tecnologia industriale del nostro paese.
Reut –
Il libro è molto divertente e ben scritto. Il “viaggio” di vita dell’autore-protagonista mi ha anche commosso: un sogno che sembra irrealizzabile si trasforma in realtà grazie ad una grande forza di volontà. E’ una storia che ci può insegnare molto, anche sulla storia dell’Italia.
Z. Amendola –
Splendido libro scelto per un progetto linguistico presso l’Istituto Comprensivo “Centro Storico” di Alba – Cuneo
Salvatore Rodia –
Il libro più che un libro sembra un affresco. È un tripudio di descrizioni alcune delle quali mi hanno colpito particolarmente. Un ritratto di un epoca così vicina ma che nel libro appare lontanissima. In alcune cose (essendo anche io un figlio del sud) mi sono ritrovato, altre invece non le ho vissute se non in qualche raro racconto di mia madre. Impressionante per me erano i tempi necessari per spostarsi (che non scoraggiavano nessuno). Il capitolo secondo me più bello (e per certi versi commovente) e cioè “Un passo avanti ” nel quale mi rispecchio fedelmente.
ilaria garaffoni –
…e dopo 254 pagine, si giunge all’inizio di questa bizzarra storia. Che è anche la fine.
La nascita di un bimbo in un mondo medievale e la sua rinascita in un mondo pieno di monsù e bicerìn. Più avanzato, decisamente meno violento e brutale, ricco di buone maniere.
Ma anche denso di falsità, insidie, possibilità che non sono per tutti, e che tuttavia diventano l’opportunità di Tito – terrone, orfano e disgraziato dalla nascita. Ma volonteroso e capace.
In una storia dipanata à revers, La Dea dei robot confronta due mondi che si rincorrono a velocità totalmente diverse: il nord pieno di maniere e stucchevolezze; e il sud, retrogrado, superstizioso e oscurantista.
Il tutto in un reticolo costellato da soggetti buffi e alteri, pittoreschi e macchiestistici, conditi da “gite scolastiche” d’antan e affermazioni drammaticamente attuali (“ritenetevi fortunati ad avere un lavoro”).
La fine del libro spalanca le porte a quel futuro tutto da disegnare cui aspira ciascuno di noi, giovane e vecchio, uomo o donna, del nord o del sud…E lascia in bocca la nostalgia di un passato complicato, ma rassicurante nel suo essere parte del nostro retaggio familiare.